martedì 7 agosto 2012

A Varazze trovata nave romana

Sono stati i cocci nelle reti dei pescatori a far intuire la presenza di una nave romana del I secolo d.C. sui fondali del mare davanti a Varazze, a circa 100 metri di profondità. 
L’occhio elettronico di “Pluto”, il robot subacqueo del nucleo Sommozzatori dei carabinieri di Genova ha “svelato” un vero e proprio giacimento di bellezza: anfore, tantissime anfore, alcune ancora intere e con il loro tappo fatto di pigne e pece, stanno sul fondo del mar Ligure da oltre 2mila anni. 
 Una scoperta, «una delle più importanti» dicono i Carabinieri, che conferma come l’Alto Tirreno sia stata la “via imperiale” verso la Gallia per l’esportazione di cibo, miele, spezie e vino tra la fine dell’epoca Repubblicana e l’inizio dell’età Augustea. 

Le anfore, sulle quali il mare ha lasciato ampi segni sotto forma di madrepore luccicanti, denti di cane e corallini bianchi, sono in perfetto stato di conservazione. Alcune, come quella recuperata a 30 metri di profondità dai carabinieri, conservano all’interno una pasta scura: «Grazie all’Università - ha detto M.R. Bottino, della Soprintendenza - potremo capire di cosa si tratta». Solo le anfore che si trovavano sulla tolda della nave sono state spezzate dalle reti a strascico dei pescatori, che così hanno consentito questo eccezionale ritrovamento. Il sonar montato sulle pilotine dei sommozzatori dei carabinieri ha mostrato un’area di circa 10 metri sotto la sabbia, formata da più piani: «Là sotto - ha detto il comandante, Francesco Schilardi - possono esserci decine e decine di anfore ancora intatte».
 Particolarmente soddisfatta del ritrovamento la Soprintendenza ai Beni archeologici della Liguria, che prenderà in custodia l’anfora, classificata per la sua forma come “Dressel 1b”, e tutti i reperti che sarà possibile recuperare dal fondo del mare. Per poter raccogliere quanto più possibile da quel relitto, che si trova ad almeno 70/100 metri di profondità, sarà necessario impiegare nuovamente “Pluto”: il robot subacqueo, dotato di due “mani” d’acciaio, prenderà le anfore e le trasporterà in superficie, guidato dal sonar e dal telecomando di un sommozzatore dei carabinieri. I tempi saranno dettati dalla Soprintendenza. Intanto, però in quella parte di mare, grazie alla sorveglianza della Capitaneria di Porto, le reti non potranno più essere gettate, né si potranno fare immersioni lasciando ancora per qualche tempo ai gronghi e alle aragoste questi antichi e comodi rifugi.

Articolo pubblicato su Il secolo XIX 

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